Beneficenza: cosa non funziona col sistema attuale

Prima o poi tutti abbiamo desiderato fare beneficenza, e moltissimi di noi hanno contribuito in un modo o nell’altro a delle cause che per loro erano importanti.
Spesso sorgono problemi, però: sotto forma di truffe (a volte legati all’invio di SMS per donare una piccola porzione del proprio saldo telefonico) oppure dovuti all’insistenza di quelle figure note come “dialogatori”.
Il disagio coi dialogatori
Questi sono i ragazzi che ci fermano spesso per strada cercando di convincerci a donare una somma mensile alla loro associazione. Nonostante tutta la loro preparazione, questi non sono sempre in grado di spiegare in che modo verrà utilizzato il nostro denaro una volta donato. Più in generale, viviamo l’incontro con queste figure come un fastidio.
In questo articolo vogliamo spiegare come vada migliorato questo sistema di approccio del potenziale donatore, perché è evidente che non funziona più: ogni volta che usciamo di casa, specie in una grande città, veniamo accostati da un’infinità di persone, da veri scocciatori a coloro che stanno lavorando a una giusta causa, ed è evidente che i secondi devono essere fisicamente distinguibili dai primi.
Opzione numero 1: banchi fissi o gazebo
La prima proposta è più onerosa per le associazioni di beneficenza, ma ha dalla sua una grande visibilità. Non è un’idea nuova: siamo abbastanza abituati a vedere stand di organizzazioni in determinati periodi dell’anno, quando in cambio di una donazione si riceve un uovo di Pasqua, una pianta, un panettone (e via discorrendo). Alcune associazioni, in maniera stagionale, riescono anche ad aprire dei negozi veri e propri dove vendere i prodotti col proprio logo: il ricavato ovviamente viene usato per i propri progetti.
Nell’opzione che proponiamo, il modello da prendere a esempio è quello dei charity shop, tanto comuni nei paesi anglosassoni: gazebi o spazi affittati anche solo per qualche mese, arredati con ampi tappeti 200×300 e comunque in maniera da non essere “respingenti”, dove lasciare qualche moneta in cambio di oggetti vintage o di seconda mano. Si va dalle tazze agli accessori di abbigliamento: in Italia al momento solo Humana lavora in questo modo (e con grande successo).
Opzione numero 2: l’approccio online
La seconda proposta è tutta virtuale, nell’ottica di sfruttare il tempo che tutti noi passiamo online. Associazioni come SumOfUs o All Out condividono l’idea di tagliare le spese per cercare donatori solo via posta elettronica: funziona, perché nelle loro email i progetti sono spiegati dettagliatamente, e i particolari sono verificabili. In fondo a ogni messaggio la donazione può essere fatta comodamente con strumenti come PayPal, che consente di non dover condividere i propri dettagli bancari.
Un’alternativa è sfruttare le piattaforme di crowdfunding benefico: da Eppela a BuonaCausa passando per la più celebre GoFundMe, ci sono diverse opzioni tra le quali scegliere, a patto di essere coscienti del fatto che le informazioni che forniamo verranno controllate per evitare utilizzi truffaldini dei soldi di chi decide di fare un versamento.